Medici e infermieri a rischio 'sovraccarico' e il 75% ha una malattia lavoro correlata. Il d
- Anna Maria Messina
- 10 mar 2016
- Tempo di lettura: 6 min

Limitare i turni notturni, poche notti di seguito, meglio turni ruotanti che turno fisso, meglio rotazione veloce, rotazione in senso orario M-P-N, evitare l’inizio anticipato del turno mattutino, turni prolungati (9-12h) solo quando il carico è basso, cicli di turno il più possibile regolari, giorni
di riposo dopo il turno notturno, consentire flessibilità negli orari.
Una ricerca INAIL Toscana e
Centro GRC
Un buon coinvolgimento lavorativo permette agli operatori sanitari di resistere a fronte di un carico
di lavoro crescente. In sintesi, nello studio condotto da INAIL Toscana e dal Centro GRC e
presentato l’8 marzo a Firenze, i medici e gli infermieri delle 6 chirurgie toscane coinvolte
percepiscono una buona capacità lavorativa ed un buon coinvolgimento, che però tende a diminuire
con l’aumento dell’anzianità lavorativa nel contesto preso in esame, mentre pare indipendente
dall’età anagrafica e dal genere.
Tra le tre categorie professionali considerate, gli infermieri manifestano un vigore inferiore sia
rispetto agli OSS che ai medici, mentre la dedizione è generalmente molto alta per tutti. Gli
infermieri e gli OSS hanno il triplo della possibilità di avere un indice di work abiliti scadente o
mediocre rispetto ai medici. Mentre l’anzianità lavorativa in equipe aumenta del 44% la probabilità
di un buon coinvolgimento lavorativo. Il 75% degli operatori intervistati riferisce di soffrire di
almeno una patologia lavoro-correlata, con al primo posto i disturbi muscolo-scheletrici, seguiti da
malattie della pelle e problemi gastro-intestinali.
Il team di ricerca ha condotto ben 111 sessioni di osservazione del lavoro della durata media di 1h e
20min, seguendo 61 operatori sanitari in sala operatoria e nel reparto di degenza con la tecnica dello
shadowing. L’osservazione mediante lo strumento WOMBAT ha consentito di classificare le
attività secondo la prospettiva sistemica, mettendo in luce le interazioni ed i tempi delle attività
principali e delle interruzioni. E’ emerso ad esempio che oltre il 60% della attività cliniche e
assistenziali è svolto in multitasking, che sono oggetto di interruzione nel 15% dei casi per gli
infermieri e nel 24% dei casi per i medici.
In altre parole gli operatori sanitari svolgono più attività contemporaneamente e quindi sono esposti
ad un impegno cognitivo che supera le ore effettivamente svolte, anche per le frequenti interruzioni
in una organizzazione ad alta intensità di relazione (6 interruzioni ogni ora per un medico). La
comunicazione rimane un aspetto fondamentale del lavoro in sanità e rappresenta uno strumento
fondamentale per migliorare la sicurezza, ma può anche essere un problema se non viene strutturata
e se non avviene secondo precise modalità. Circa un quarto delle attività mediche ed
infermieristiche è infatti dedicato alla documentazione, per un 15% di tipo meramente burocratico.
Queste analisi preliminari offrono molti spunti di riflessione, che il gruppo di ricerca approfondirà
insieme al management delle 6 unità di chirurgia.
Per questo Giovanni Asaro, Direttore Generale di INAIL Toscana e Monica Piovi DG
dell’assessorato alla sanità toscano, hanno ribadito il valore della collaborazione tra INAIL e
Regione, nonché sul valore della prevenzione per salvaguardare la salute dei lavoratori, che è ancor
più necessaria per fronteggiare la crisi ponendo al centro il fattore umano.
I dati di INAIL presentati da Mario Papani mettono in luce come in ambito sanitario, la maggior
parte degli infortuni degli operatori è correlata a incidente in itinere, al secondo posto si trovano le
contusioni e le lesioni, provocate da urti e cadute, seguite dalle ferite da taglienti. Le malattie
professionali sono invece in larga maggioranza dovute a disturbi muscolo-scheletrici, seguite da
neuropatie e malattie della pelle. Gli infortuni colpiscono maggiormente i giovani, mentre le
malattie gli operatori anziani. In Toscana si è osservata una lieve riduzioni degli infortuni, a fronte
di un aumento delle malattie professionali denunciate. Alberto Baldasseroni di CERIMP ha
illustrato il drastico aumento del personale sanitario con età superiore a 60 anni che rimane al lavoro
a seguito della “riforma Fornero” delle pensioni, le evidenze su correlazione tra età e malattie
professionali, nonché le difficoltà a condurre analisi approfondite a causa della difformità dei flussi
informativi su assenze (gestita da INPS), su infortuni e malattie professionali (gestita da INAIL), su
volumi di attività (gestiti dalle aziende sanitarie).
Operatori resilienti quindi, ma con segnali di sofferenza che vanno presi in considerazione per un
monitoraggio in senso longitudinale, soprattutto per prevenire gli effetti congiunti del lavoro a turni,
orario di lavoro prolungato, con attività in multitasking ed invecchiamento della popolazione
lavorativa. Questo è il consiglio del Prof Marco Depolo, autore della versione italiana del
questionario sul coinvolgimento lavorativo che è stato impiegato nello studio.
Fattori che favoriscono il coinvolgimento lavorativo sono: opportunità di apprendimento, supporto
dei superiori, comunicazione, autonomia, leadership adeguata. Quando c’è un buon coinvolgimento,
i lavoratori tendono ad avere un atteggiamento proattivo ed a rimanere a lungo periodo all’interno
dello stesso servizio. Negli operatori sanitari migliora l’identificazione con l’ospedale, si riduce
l’assenteismo, migliora la performance organizzativa. Il coinvolgimento è fortemente connesso con
il disegno delle organizzazioni. In Inghilterra l’indagine annuale condotta dalla Care Quality
Commission, mostra che il coinvolgimento è correlato con buona qualità, performance economiche,
pazienti più soddisfatti, meno assenteismo e minori tassi di mortalità intraospedaliera, che si
riducono fino all’8%.
In considerazione dell’esposizione al lavoro a turni, che nel campione studiato riguarda una
proporzione superiore al 60% degli operatori, il Prof Giovanni Costa dell’Università Statale di
Milano, ha illustrato lo stato dell’arte delle conoscenze relative agli effetti sulla salute e sulla
performance del lavoro a turni: aumento fino al 15% dei rischi nei turni pomeridiani e fino al 30%
nei turni notturni. Sulle donne il lavoro a turni ha un effetto anche sulla capacità riproduttiva, con
un ritardo di 1,5 anni del primo parto rispetto alle giornaliere ed un aumento più marcato del rischio
d insorgenza di tumori al seno. Inoltre il numero di figli riduce il numero di ore di sonno in modo
crescente, in particolare in chi fa il turno di notte e di mattina. Lavoro notturno definito da IARC
come probabilmente cancerogeno. Turnazione quindi da bilanciare, ridurre, organizzare in modo
tale da limitare tutti gli altri fattori che contribuiscono al rischio di deprivazione di sonno.
Oltre all’orario di lavoro, infatti, le condizioni dell’ambiente e le caratteristiche del compito
incidono sulla performance: ad esempio nell’ambiente la carenza di stimoli, la cattiva illuminazione
o il rumore hanno effetti negativi, così come la monotonia dei compiti o la scarsa autonomia
professionale dal punto di vista organizzativo. Ci sono poi fattori personali, come l’alimentazione,
l’esercizio fisico, la motivazione a cui aggiungere le condizioni familiari e sociali.
Il prolungamento del turno lavorativo produce accumulo di fatica e rischi per gli operatori sanitari e
per i pazienti. La maggior parte dei medici tendono a negare l’effetto della fatica sulla performance,
nonostante le evidenze della ricerca sulle correlazioni tra durata dei turni, orario di lavoro
prolungato, lavoro notturno ed effetti sulla salute degli operatori e sulla sicurezza dei pazienti.
Il Prof Costa propone quindi un decalogo per prevenire i rischi correlati al lavoro a turni: limitare i
turni notturni, poche notti di seguito, meglio turni ruotanti che turno fisso, meglio rotazione veloce,
rotazione in senso orario M-P-N, evitare l’inizio anticipato del turno mattutino, turni prolungati (9-
12h) solo quando il carico è basso, cicli di turno il più possibile regolari, giorni di riposo dopo il
turno notturno, consentire flessibilità negli orari.
Secondo Costa, il settore sanitario è molto in ritardo nel recepire i principi della buona
organizzazione del lavoro volti a ridurre gli effetti negativi dei turni notturni o prolungati, anche
rispetto ad altri settori industriali del nostro Paese, ad esempio sulla questione delle 11 ore di riposo
tra due turni consecutivi ci si è mossi in forte ritardo e senza una revisione della pianificazione del
lavoro, che è in parte possibile anche a parità di risorse. I settori industriali in cui c’è un po’ di
competizione hanno investito di più sulla buona gestione delle risorse umane, che ha evidenti
ricadute positive sulla qualità del lavoro oltre che sulla salute.
Riccardo Tartaglia, direttore del Centro GRC e Laura Belloni, direttrice del Centro Regionale
Criticità Relazionali, hanno infine insistito affinché i risultati di questo studio vengano impiegati per
affrontare la complessità delle nostre organizzazioni sanitarie, in particolare per sostenere gli
operatori ed i gruppi di lavoro nell’affrontare la sfida del ridisegno dei servizi, necessaria per
superare la crisi cercando di coniugare il benessere delle organizzazioni, con la salute degli
operatori e la sicurezza dei pazienti.
(Da: www.quotidianosanita.it dell’8 marzo 2016)
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